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Il ritratto che il Vasari dedica al Perugino è onesto e feroce: costretto (in gioventù) a dipingere per vivere, e ossessionato dal terrore della povertà, Pietro Vannucci «faceva cose per guadagnare, che e' non avrebbe forse guardato, se avesse avuto da mantenersi». Era infatti - scrive il Vasari - uomo «di poca religione», e il suo lavoro instancabile al servizio di conventi e monasteri nasce da una formula di successo sfruttata con raffinato cinismo. Che un pittore così sostanzialmente irreligioso abbia potuto diventare un vero e proprio campione dell'arte cristiana, e addirittura un «pittore estatico» sulle soglie della santità, è un equivoco grandioso. Di cui sono una spia infallibile e (forse) involontariamente comica le strane fisionomie dei suoi santi e le vistose cadute di stile. Ma indagato con occhio attento e «poliziesco» l'equivoco getta luce su un fenomeno più ampio: la grande crisi della pittura religiosa nel primo Rinascimento. Nel nuovo spazio figurativo la vecchia iconografia con i suoi simboli tradizionali - come la «mandorla», il nimbo luminoso che avvolge le figure sacre - tramonta, o assume, sopravvivendo, fattezze mostruose.